Senza terra, sempre

Alcuni giorni fa un gruppo di indigeni brasiliani (tupiniquim e guaranì) aiutati da attivisti di una ONG tedesca hanno bloccato gli ingressi della multinazionale tedesca Procter&Gamble, azienda che fornisce mezza Europa di fazzoletti di carta. Si vuole in questo modo denunciare che un grosso fornitore di cellulosa di tale azienda, la Aracruz Celulose, si è indebitamente appropriata di terre che erano sotto la tutela del popolo indigeno. Eventi simili a questo si ripetono con una frequenza disarmante.

Ma come è possibile che si debba ancora parlare di “riserve per indigeni” e di insopportabili prevaricazioni nei loro confronti? Esorterei chiunque a passare una giornata in un luogo simile ed infine trarre le dovute conclusioni: emarginazione e subalternità sono le parole che meglio descrivono la triste condizione degli indigeni che vi sopravvivono, cinicamente abbandonati soltanto perchè esigono il rispetto della loro cultura. Ciò succede in un paese come il Brasile che comunque garantisce una certa attenzione, a volte non priva di vuota retorica, nei confronti dei suoi popoli. Forse un giorno dovremo pentirci di non aver ascoltato il loro grido di amore nei confronti della terra che calpestiamo.

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