Tinghir e Valle del Dades

Vi sono dei momenti all’interno di un viaggio in cui la coscienza si sospende, lasciando il posto alla fresca brezza mattutina. Davanti alla stazione dei bus di Ouarzazate si alza una sottile polvere, ad indicarci il cammino verso il deserto del Sahara. Silenziosamente, ascoltiamo le grida dei taxisti, in attesa che pronuncino il nome della nostra prossima destinazione, secondo un rituale che si ripete da anni. Come dal nulla compaiono altre persone che sembrano interessate a spostarsi fino a Tinghir, lungo la Valle del Dades.
Il nostro Mercedes, un esemplare del secolo scorso magnificamente agghindato con orpelli amaranto ed adesivi pubblicitari, non tradisce i suoi novecentomila chilometri percorsi in condizioni climatiche estreme e, sapientemente manovrato dal taxista, procede a strappi lungo la striscia di asfalto che si immerge negli aridi paesaggi della Valle del Dades. La temperatura ci costringe a frequenti soste, per attingere acqua dai numerosi e profondi pozzi sotterranei. Improvvisi angoli di verde precedono minuscoli negozietti, dove si vende acqua di rose.
Finalmente, si apre davanti ai nostri occhi la scintillante striscia verde del palmeto di Tinghir, ad accoglierci la faccia sorridente di Youssef, che ci offre un tè berbero.

Suggerimento di viaggio: pernottare nel suggestivo hotel Tombouctu (vicino alla stazione dei bus di Tinghir), costruito sulle rovine di una kasbah.

Tinghr e Valle del Dades

Ouarzazate e Casbah di Telouet

La notte stellata, inseguita da una moltitudine di anime che trovano pace solo ai margini delle strade polverose, cede finalmente il passo ad un’alba tiepida e tremolante. Seguiamo a ritroso le pendici dell’Atlante, in direzione di Marrakech, ma poco prima del passo Tizi’n Tichka, svoltiamo lungo una esigua traccia di polvere: è l’antica pista del sale, passaggio delle carovane lungo il tragitto verso Marrakech o verso il mistero di Timbuctu.
I visi sorridenti ed affaticati dei contadini, seguiti dalle giocose grida dei bambini, ci raccontano di un mondo che scorre con i ritmi antichi delle stagioni, senza affanni ma sempre in equilibrio tra semplicità e privazioni. Il luogo è incantevole, i colori sono caldi e leggieri come pennellate di un quadro impressionista. Siamo affascinati. Al termine del nostro percorso, giungiamo finalmente a Telouet, villaggio di origine del Glaoui e sede di una miniera di salgemma. Visitiamo la Casbah che subito ribattezziamo “delle cicogne”, accompagnati dalla simpatica guida Mohammed, poi ci concediamo una lunga pausa nel vicino ristorante, dove gustiamo gli intensi sapori della cucina berbera e godiamo di un paesaggio bucolico.

Improvvisamente squilla il telefono. Stiamo facendo merenda con Lahcen, a base di tè verde e pistacchio, ci racconta della sua aspirazione di viaggiare il mondo e conoscere persone lontane, pensiamo all’innata curiosità di questo popolo stupendo e quanto ciò ci unisca, rendendo le nostre discussioni sempre più avvincenti e appassionate.
Dall’altra parte della cornetta un affannato Brahim, che nel frattempo ci aveva salutati per raggiungere la famiglia a Zagora, qualche ora di bus da Ouarzazate. La sua voce lontana: “Salam amico, abbiamo un problema… tu e la ragazza dovreste andare via subito dalla casa, perché fra poco arriva mio cugino e se vede lei, tira fuori un gran casino!”. Un attimo di silenzio, poi penso che il privilegio e le emozioni che ci hanno regalato nei due giorni passati assieme sono il migliore regalo che potessero farci; ringraziamo tutti, raduniamo le nostre poche cose e siamo pronti a ripartire.
Marocco dei mille contrasti e contraddizioni, sono le 10 di sera e dobbiamo trovarci un albergo per la notte. Ancora una notte di Ouarzazate.

Suggerimento di viaggio: rilassarsi nel terrazzo del ristorante Lion d’Or di Telouet, gustando i piatti della cucina berbera (tagine, cous cous).

Tizin Tichka, Atlas

Tizi’n Tichka verso Ourzazate

Camminiamo verso la gare routiere, ed immancabilmente siamo coinvolti nel trambusto pre-partenza. Non appena varchiamo la soglia della stazione, un nugolo di giovani in giacca di pelle, mendicanti, bambini a piedi scalzi e presunti viaggiatori di lunga data ci attornia. Le grida sono sempre più animate e giocose, poi a tratti nervose rivelando una certa insoddisfazione per la trattativa che non prosegue speditamente. In pochi secondi, dopo che abbiamo pronunciato la parola magica (Ouarzazate), ci ritroviamo gentilmente sospinti verso uno sgangherato bus, agghindato con una miriade di nastri e lustrini colorati d’oro e di rosso. Ci risentiamo a casa. Subito parte la contrattazione per il prezzo ed i posti a sedere migliori. 30, 25, 20 il prezzo scende e scendono le pretese: posti in fondo al bus e sedili rivestiti in pelo di pecora, impolverato.

Finalmente il bus parte, direzione il deserto, ma dobbiamo subito affrontare l’Atlante: fitte foreste di pini, estesi raccolti di frumento dorato e tranquilli villaggi berberi, una breve sosta a Taddert per il pranzo. Superiamo il Tizi’n Tichka (2500 metri di altitudine), che in lingua tamazight significa proprio “passo dei pascoli”. L’aria calda e secca preannuncia il deserto del Sahara. Nel viaggio conosciamo Brahim, un simpatico marocchino che lavora a Bergamo: con lui facciamo i primi passi nel Marocco più autentico. Ci invita a casa di suo cugino quando raggiungiamo Ouarzazate, parliamo e ci offre da mangiare, capiamo che c’è molto da condividere e la possibilità di instaurare un rapporto davvero caloroso. Passiamo una piacevole giornata con Brahim ed i tre fratelli (Lahcen è l’unico che capisce l’inglese), peccato non parlare meglio il francese, ma ci arrangiamo con lo spagnolo e tentiamo di imparare le prime parole in arabo (shukran, naan/la, inshallah, salam/salem). Continuano ad offrirci la loro ospitalità, sotto forma di tè alla menta, piacevoli chiacchierate e deliziosi spuntini. Capiamo comunque che la reciproca curiosità non basta sempre ad abbattere il “muro” culturale che ci separa: il nostro relativismo non può molto nei confronti del loro modo di pensare legato alla cultura musulmana. Fin da bambini, le vite degli uomini si separano da quelle delle donne. Ai primi è dato il privilegio di poter scegliere, mentre per le donne il destino sarà sempre indelebilmente segnato dagli insegnamenti della madre e del volere prima del padre e poi del marito.
Nella notte, dopo aver gustato un saporito tajine di agnello cucinato con i nostri nuovi amici, facciamo tutti assieme una lunga camminata fino alla casbah di Taourirt. La luna piena crea un’atmosfera da sogno, la casbah sembra animarsi e rivivere i tempi del suo massimo splendore, quando era una delle dimore di Glaoui, il pacha di Marrakech. Ourzazate, che si trova all’incrocio della valle del Draa con quella del Dades, di fatto introduce alle prime propaggini del deserto del Sahara. La città è piuttosto moderna (fu infatti fondata dai francesi negli anni ‘20), ed è ancora oggi un luogo di transito lungo gli itinerari di commercianti e turisti che, partendo da Marrakech, portano alle frontiere desertiche di Zagora e Merzouga. Il clima è mitigato dalla sua altitudine che supera i 1.100 m di quota.

Suggerimento di viaggio: sedersi in un bar del centro città, per assaporare un gustoso tè alla menta, abilmente servito dalla teiera in modo da sprigionarne tutto l’aroma.

Casbah Taourirt, Ouarzazate

Marrakech, città imperiale

Marrakech è una della quattro città imperiali marocchine e il suo suq, che si estende nel cuore della città antica (la medina), è uno dei mercati più vitali di tutto il Nord Africa. Non esistono nomi, insegne o vetrine. Tutto ciò che si vede è in vendita. Nel suq, il commerciante ha un trattamento diverso per ogni cliente. Esso si sviluppa attorno alla splendida piazza Djemaa El Fna, dove si trovano venditori e artisti di ogni genere: gruppi musicali, oratori, venditori di protesi, dentisti, incantatori di serpenti… Marrakech è indimenticabile per i suoi sapori ed odori, per gli artigiani ed i tintori che lavano le pelli nei pozzi di pietra, i fabbri e le altre migliaia di figure magiche che popolano e rendono unica questa città, africana e profondamente araba maghrebina.

La storia della regione attorno a Marrakech è legata alla popolazione bereber (Berberi). Presente sul territorio africano da migliaia di anni, questo popolo mantiene tuttora un’origine misteriosa, anche se si dice che provenga dal Caucaso. In epoca romana, questi “uomini di terra” avevano già instaurato il Regno di Mauritania, le cui frontiere raggiunsero il Mediterraneo. Dopo la caduta dell’Impero Romano, iniziarono a crescere ed a espandersi fino a spingere i loro guerrieri alla conquista della Spagna, portando in Europa l’Islam. La città imperiale di Marrakech fu fondata nel 1062 dal sultano Youssef ben Tachfine, cui si attribuisce la costruzione delle mura difensive che circondano la città. Estese fino a 19 km durante le dinastie degli Almohades e dei Saadiani, tali mura cittadine variano come colore tra il rosa e il rosso e sono interrotte da 200 torri quadrate (borjs) e nove porte monumentali. La prosperità di Marrakech le consentì di divenire capitale di un impero che si estendeva da Algeri all’Atlantico e dal Mediterraneo fino al Senegal.

Dopo 400 anni di dinastie berbere discendenti delle tribù indigene dell’Atlante (gli Almoravidi, gli Almohadi e i Merinidi, che regnarono fino al 1465), il XVI secolo vide l’avvento di dominatori di origine araba. I Saadiani (1554-1603) unificarono il Marocco, mentre nel 1659 ascesero al trono gli Aluiti (nel 1672-1727 regnò il sultano Moulay Ismail), che sono ancora oggi al potere in Marocco. Uno dei monumenti più notevoli di Marrakech appartenente a questo periodo della storia del Marocco si trova nella casbah (Qasba). Situate in un piccolo giardino, le tombe dinastiche dei Saadiani, che risalgono proprio al XVI secolo, sono fra i migliori esempi di arte islamica, specialmente per le elaborate decorazioni a stucco e i soffitti in cedro del mausoleo.

Suggerimento di viaggio: sedersi in un chiosco di piazza Djemaa el Fna, per assaporare carne, pesce, couscous, teste di montone, lumache o spiedini, ogni sera dopo le 18.

Babouche, Suq di Marrakech

Marrakech, crocevia d’Africa

La prima sensazione che ci colpisce è la presenza della luce, una luce diffusa e spessa, una luce che inonda e trasforma, una luce che anima violentemente i nostri corpi. Quando dal deserto color ocra sboccia questo fiore di mercanti e visi sorridenti, ci rendiamo conto di aver raggiunto Marrakesh. Il Marocco ci appare quindi come un miraggio: un curioso sguardo di bambino verso un mondo che ci mancava tanto, con i suoi profumi intensi ed i suoi sapori estasianti… Ci immergiamo in una giostra di colori tanto vitali da far girare la testa: spezie, babouche, tappeti e lampade, mercanzie di ogni tipo affollano gli infiniti vicoli di questo porto di anime. Maghrebini e berberi, touareg ed integralisti islamici, tutti riuniti durante le contrattazioni nel suq. Sentiamo pulsante l’allegria del mercato, e ci stupisce la capacità rigeneratrice del suo cuore, la piazza Djemaa El Fna, crocevia d’Africa. Qui si incontrano centinaia di culture, si incrociano migliaia di anni di storia. Nella piazza Djemaa El Fna si sovrappongono le strade di milioni di persone, che spesso sono solo di passaggio, verso la prossima vita oppure verso il prossimo viaggio.

Suggerimento di viaggio: Hotel Minaret (125DH), chiedere all’arrivo in piazza Djemaa El Fna, si raggiunge a piedi, in direzione opposta rispetto al suq.

Djemaa El Fna, Marrakech

Un anno fa, Slideshow

Un anno fa iniziava l’avventura di questo blog… un mosaico di emozioni nel cuore più profondo del continente americano. Abbiamo interiorizzato un mondo magico, alle volte tanto viscerale da sembrarci troppo duro. Dagli Stati Uniti, culla pensante e contraddittoria del mondo attuale, abbiamo imparato a mettere da parte i pregiudizi e sostituirli con tanta curiosità. Il Messico ci ha donato la gioia del viaggio, gli spazi immensi e la bellezza della natura, ma anche l’inesauribile resistenza di un popolo sedotto e poi abbandonato. Il Guatemala, stupendo e commovente, terreno fertile del mondo Maya, la ricerca di un futuro migliore, alla quale ci siamo uniti attraverso la nostra cooperazione come volontari. La Colombia, un paese sconfinato e magnifico, tanto selvaggio da sfuggire lo sguardo; la sorpresa di un fermento elettrizzante. L’Ecuador, un condensato di latinoamerica, una natura rigogliosa ed un popolo accogliente: l’incontro con la foresta amazzonica ed i suoi popoli, l’eterna lotta contro lo sfruttamento senza regole delle risorse naturali. Il Perù con le sue bellezze archeologiche, nella sconosciuta regione andina settentrionale; lo spettacolo della “Suiza Peruana” (Svizzera peruviana), Huaraz e la Cordillera Blanca. Ora che ci addormentiamo sull’ultimo giorno, ci sorride un mosaico di visi e sguardi, l’importanza che hanno avuto ed avranno nella nostra vita, la promessa di incontrarci di nuovo, un giorno…

Mosaico di un viaggio nomade: dagli USA al Perù, Messico Guatemala Colombia Ecuador

Lima e Manual del Pendejo

L’ultima settimana americana, un’altra volta e tanto breve da sembrare già finita: il viaggio nel Perù, fantastico ma forse vissuto meno intensamente rispetto alle esperienze negli altri paesi latinoamericani. Giungendo dalla spoglia costa dell’Oceano Pacifico, Lima appare come un enorme e polverosa striscia di deserto, a prima vista poco attrattiva ed ospitale. Il traffico congestiona la metropoli riducendo il centro storico (attorno a Plaza de Armas) ad un imbuto di smog, niente di romantico. La gente grida per vendere mercanzia di ogni tipo, dal cibo agli oggetti più impensabili. Un vecchio ci mostra il prodotto con cui dice “me gano la vida“, il Manual del Pendejo, ovvero sogni a tempo già scaduti ed acqua santa… la vita in America Latina non è mai banale né dolce, reclama solo tanta, troppa fantasia.

Moche, maschera d'oro archeologia pre-colombiana Lima Perù

Il museo Yuyanapaq. Para recordar (in memoria del ventennio della guerra civile, 1980-2000), ricorda attraverso un intenso percorso audio-visivo l’orrore del genocidio sofferto dal popolo andino ed il periodo forse più tragico della storia peruana, una stagione di contrapposizioni ideologiche che portarono un’ondata di terrore nel paese. Come sempre, coloro che pagarono il prezzo più tragico di questa guerra furono i popoli indigeni, in particolare nella regione di Ayacucho. Travolto da una spirale di violenza ed atti terroristici, il paese smarrì la coscienza e sospese la propria storia.

Guerra civile peruviana, Sendero Luminoso Fujimori, massacri di Ayacucho Ande

Trekking nella Cordillera Blanca

Si avvicina la Semana Santa (Pasqua) e Huaraz comincia ad animarsi per l’inizio della stagione di trekking ed alpinismo nella Cordillera Blanca. Questa splendida catena montuosa, che si estende per 180 chilometri all’interno del Parco Nazionale Huascarán, include il picco più alto del Perù (Huascarán, 6768 metri) ed una delle montagne più belle al mondo (Alpamayo, celebre per la sua parete nord-ovest a forma di piramide). Accanto ai circuiti più frequentati, Santa Cruz trek (5 giorni tra lagune, nevai e passi a 5000 metri di altitudine) e Lagunas de Llanganuco (nella foto), esistono innumerevoli trekking di varia difficoltà tra cui: Laguna Churup trek, Quilcayhuanca trek e Ishinca trek. Tutti offrono stupende viste delle cime innevate della Cordillera Blanca. Numerose sono anche le opzioni di ascensione alle vette della catena montuosa, senza dimenticare la vicina Cordillera Huayhuash (trek Huayhuash). Per ulteriori informazioni su trekking ed alpinismo nella zona di Huaraz, un buon punto di partenza può essere la Asociacion de Guias de Montaña del Perù. Per le migliori viste sulla Cordillera Blanca, basta percorrere i numerosi sentieri della Cordillera Negra a piedi, mountain bike o cavallo.

Trekking nella Cordillera Blanca Lagune di Llanganuco

Un’alba a Huaraz

Un’alba a Huaraz vale lo spettacolo di 30 vette innevate colorarsi del rosa trasportato dal vento gelido. Un’alba a Huaraz vale il sorriso di una signora infreddolita, gridare “¡Tamales!”. Un’alba a Huaraz ti sorprende fino a farti urlare che hai conquistato il tetto del mondo, o forse solo la meta di un lungo cammino. Un’alba a Huaraz ti toglie il respiro, per condurti dove solo i condor andini possono osare. Un’alba a Huaraz vale 10 mesi di viaggio nomade e tante avventure, è la gioia del tempo e l’entusiasmo di scoprire sempre nuovi orizzonti. Ora il giorno con i suoi colori, il mercato campesino e le donne scherzare, i timidi sorrisi dei bambini, una cavalcata o una lunga camminata verso le lagune di smeraldo (Llanganuco e Churup)… e tante piccole storie da ricordare.

Cordillera Blanca da Huaraz foto panoramica Huascaran Alpamayo Perù

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