Un’alba a Huaraz vale lo spettacolo di 30 vette innevate colorarsi del rosa trasportato dal vento gelido. Un’alba a Huaraz vale il sorriso di una signora infreddolita, gridare “¡Tamales!”. Un’alba a Huaraz ti sorprende fino a farti urlare che hai conquistato il tetto del mondo, o forse solo la meta di un lungo cammino. Un’alba a Huaraz ti toglie il respiro, per condurti dove solo i condor andini possono osare. Un’alba a Huaraz vale 10 mesi di viaggio nomade e tante avventure, è la gioia del tempo e l’entusiasmo di scoprire sempre nuovi orizzonti. Ora il giorno con i suoi colori, il mercato campesino e le donne scherzare, i timidi sorrisi dei bambini, una cavalcata o una lunga camminata verso le lagune di smeraldo (Llanganuco e Churup)… e tante piccole storie da ricordare.
Condor e Valle del Colca
Alla stazione di Arequipa, pochi viaggiatori si mescolano alla moltitudine di persone che tornano ai loro villaggi di appartenenza, dopo una visita ai parenti in città o dopo una giornata di lavoro. Sono indigeni che si recano negli innumerevoli piccoli pueblos che costellano le valli andine. Seguiamo un itinerario simile per recarci nella Valle del Colca, attraversiamo lande sferzate da un vento freddo, il paramo e passi andini che sfiorano i 5000 metri. Siamo attorniati da pascoli, greggi di alpaca e lama e sparute capanne di allevatori Aymara che vivono inseguendo gli animali nei loro perenni spostamenti alla ricerca di foraggio. La vita nomade. Giungiamo a Chivay, un villaggio all’imbocco della Valle del Colca, nel quale si respira un’atmosfera di estrema tranquillità e dove appaiono ancora forti i legami con stili di vita dalle origini millenarie. A dimostrarlo, una sottile diffidenza che le persone del posto mostrano nei nostri confronti. Il tempo sembra essere sospeso in questa valle, la vita rincorre il ciclo del sole e la tecnologia non ha ancora turbato questo delicato equilibrio con l’elettricità. Chivay si trova a circa 3800 metri di altitudine e già questo basterebbe a rendere l’esistenza impegnativa: il soroche, così si definisce in lingua locale il mal di montagna, colpisce inesorabile coloro che non sono nati per una vita tanto estrema. I bambini corrono curiosi lungo le strade che guidano alle loro capanne fuori dal villaggio, portano con sé alcuni animali, spesso alpaca o pecore. Questa è la loro incombenza quotidiana, in sostituzione della scuola. Sorridono. Sulle pendici delle vette che cingono la valle, scrutando con attenzione, si scorgono sparuti gruppi di vigogne, l’unica specie di camelide andino che non ha acconsentito a farsi addomesticare e continua la sua esistenza solitaria nei luoghi più inaccessibili della cordigliera andina. Ancora più in alto, nel cielo terso del mattino, veleggiano imperturbabili alcuni rari condor delle ande, i veri e maestosi dominatori di questo paradiso. A pinchollo, le immagini sbiadite di un lontano passato riaffiorano nei timidi sguardi delle persone, e ci raccontano…
Masticavo coca a quattro anni gli alpaca erano più veloci di me Masticavo coca a dieci anni la terra era più dura di me Masticavo coca a venti anni i figli piangevano più forte di me Ora di anni ne ho quasi trenta e la coca continuo a masticarla perchè i miei figli sono partiti ma ero troppo triste perchè la morte prendesse anche me e di tempo per piangere qui sull'altopiano, non ce n'è