In Guatemala

Il canto della giungla ci sveglia prestissimo e mentre facciamo colazione siamo avvolti da una densa nebbia. Nella mente scorrono veloci i ricordi dei tre mesi passati in Messico, gli sguardi ed i sorrisi delle persone conosciute o soltanto sfiorate… attraversare la frontiera tra Messico e Guatemala non comporta la tragica intensità del passaggio dagli Stati Uniti al Messico: semplicemente ci spostiamo sull’altra sponda del rio Usumacinta, da Frontera Corozal a Bethel. Qui ritroviamo la stessa giungla, le stesse bajareques (case di legno ed adobe, una miscela di fango e paglia), gli stessi accoglienti sorrisi. La consueta strada fangosa ci guida lungo prati verdi e colline, fino al lago di Petèn Itzà. Cominciamo a notare le prime differenze con il Messico, i giorni iniziali in un paese che non si conosce sono sempre i più difficili, ma anche quelli più stimolanti. Camminando tra l’isola di Flores ed il pueblo di Santa Elena, per un attimo respiriamo un’atmosfera asiatica: tanta polvere e centinaia di risciò ed api adattate al trasporto di passeggeri.

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Frontera corozal, ancora Selva Lacandona

L’ultima notte messicana scivola via lenta ma inesorabile, come il corso del rio Usumacinta, sulle cui sponde ora ci troviamo. La strada che ci ha condotti dall’altipiano presso Comitàn fino a Frontera Corozal, e’ un tortuoso percorso attraverso un paesaggio incredibile. Dopo aver superato le stupende Lagune di Montebello, una serie di specchi d’acqua blu e verde smeraldo circondati da pinete, la strada ha preso una discesa senza fiato verso la giungla, costeggiando il confine con il Guatemala. Da qui il nome di “carretera fronteriza”. Fino alla cittadina di Benemerito De Las Americas, osserviamo il frutto di decenni di sfruttamento totalmente irrazionale del territorio. Con la promessa di una terra facile, i campesinos dell’altipiano venivano mandati allo sbaraglio (vedi l’esperienza dell’ejido Emiliano Zapata), sempre più nel cuore della selva lacandona. Ma l’assenza di un intelligente piano agricolo ha costretto allo sfruttamento di terreni sempre più estesi e sempre meno produttivi. Come drammatica conseguenza, vediamo una selva in agonia ed il ritorno dei latifondisti, in luoghi dove non avrebbero mai potuto arrivare neppure con enormi risorse. Frontera Corozal non e’ esente da questi problemi, ma i suoi abitanti sembrano aver trovato una valida alternativa in progetti di “ecoturismo”, vista la bellezza del rio Usumacinta e la ricchezza di vita lungo le sue sponde (finalmente vediamo le scimmie urlatrici!). Inoltre a pochi chilometri dalla comunità si trovano le rovine maya di Yaxchilan e Bonampak.

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San Cristobal de las Casas

Per qualche giorno ci siamo fermati a San Cristobal, cuore storico e turistico del Chiapas. La città in effetti e’ molto accogliente ed interessante, forse un po’ troppo frequentata. Come al solito siamo stati attratti in modo speciale dalla zona del mercato e dall’artesania, che qui si avvale dell’eclettico contributo delle donne dei villaggi situati sull’altipiano attorno alla città (San Juan Chamula, Amatenango del valle, Simojovel, Zinacantàn, Oventic, Chenalhò…). Nell’hospedaje in cui eravamo alloggiati, abbiamo incontrato dei personaggi davvero stravaganti con cui farci qualche risata. Percorrendo in lungo ed in largo le strette e colorate vie di San Cristobal, si scoprono ogni giorno nuovi locali, bar e comedores, ma i nostri pensieri negli ultimi giorni sono più proiettati verso il Guatemala ed il luogo dove attraversare la frontiera.

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Ritorno dalla selva e comunita’ zapatiste

Ultima parte. Alle cinque del mattino parte il micro che ci conduce da San Quintin fino a Las Margaritas. Una salita ancora più dura rispetto alla discesa da Ocosingo. Dopo poche ore di strada raggiungiamo il caracol de La Realidad: visto che il nostro autista conosce tutti e si ferma per una sosta, noi ne approfittiamo per parlare con qualche persona e cercare di capire se possiamo fermarci nella comunità. Purtroppo non siamo fortunati e, anche a causa dell’attuale situazione di “alerta roja”, le autoridades non possono riceverci; quindi decidiamo di proseguire. Nei giorni successivi conosciamo una ragazza chiapaneca che lavora presso le comunità (il volontariato qui è generalmente benvenuto) e ci conferma che con gli estranei, la gente reagisce in maniera imprevedibile: se non si viene accettati subito, il rifiuto e’ inesorabile. Dopo quasi dieci ore di viaggio giungiamo a Las Margaritas, una piccola cittadina dove ci fermiamo per la notte: siamo di nuovo catapultati in un mondo di case in cemento, strade asfaltate e macchine… qualcosa di tristemente familiare.

Si conclude un’esperienza indimenticabile nel cuore della vita latinoamericana, siamo distrutti ma esaltati. Pensiamo alla fortuna di poter conoscere in questo modo le comunità indigene della selva. I lavori di asfaltatura della strada che abbiamo percorso porteranno forse qualche lieve cambiamento nella vita delle persone che abitano questi luoghi, ma sicuramente rovineranno per sempre l’atmosfera autentica che abbiamo respirato… quanto e’ precario l’equilibrio tra progresso e mantenimento delle tradizioni popolari?

Manuèl, su familia y la tierra

Quarta parte. La notte, davanti al focolare, Manuèl e la sua sposa ci hanno raccontato la storia della loro vita, ovvero la storia di moltissimi campesinos, indigeni e latinoamericani, prima e dopo di loro. Un’avventura iniziata nel ’67, quando l’ejido Emiliano Zapata era ancora un’idea sulla carta e la Selva Lacandona si spingeva vergine ben oltre i confini attuali. Ci raccontano di un anno di sacrifici per risparmiare i soldi del passaggio aereo ed il primo sopralluogo nel territorio del futuro ejido: benché la selva lo spaventasse, Manuèl non aveva scelta e nel ’68 abbandonò il pueblo natale e prese possesso della sua porzione di terra, assieme alla moglie. Seguirono anni di dura lotta contro la giungla, la fame e le malattie: dei 65 fondatori della comunità, solo venti resistettero al primo anno. Per alcuni mesi mangiarono caracoles (lumache), poi con tanta forza d’animo riuscirono a portare i primi animali, il mais e le piante da frutto. Dopo tanti anni, Manuel ci mostra orgoglioso i suoi nipotini e la scuola che sono riusciti a costruire. Abbiamo la sensazione che la comunità funzioni molto bene, vi e’ un importante affiatamento e le persone si aiutano a vicenda, ma permangono i problemi di sempre. La scuola non fornisce un servizio continuo (i maestri vengono da Ocosingo e cambiano spesso), il medico passa una volta alla settimana e non riesce mai a visitare tutti coloro che ne hanno bisogno (le strade nella regione sono sterrate e impegnative), i farmaci sono usati con parsimonia, ma spesso si rivelano un lusso inavvicinabile…

Mentre mangiamo la nostra porzione di zuppa di verdure, in silenzio pensiamo alle ultime parole di Manuèl: “i giovani scappano dall’ejido perché non trovano lavoro e noi, uno alla volta, ce ne andiamo. Ma resisteremo fino all’ultimo giorno sul nostro pezzo di terra, conquistato a sudore, sangue e lacrime”. Per salutarci Manuel ci canta l’inno dell’ejido, lui e la moglie si commuovono: impariamo che nelle difficoltà si incontra la strada più sincera per vivere serenamente…

Splendidi sorrisi di tre giovani sorelle bambini messicani Chiapas comunità Zapatista villaggio Emiliano Zapata Messico

Ejido Emiliano Zapata e Laguna Miramar

Terza parte. Adolfo ci sveglia ad un orario esageratamente mattutino, ma noi siamo lentissimi e dopo una breve colazione e la ricerca degli stivali, quando siamo pronti per partire il sole e’ già alto sull’orizzonte… ci incamminiamo lungo un sentiero di una decina di chilometri, che ci porterà sulle sponde della Laguna Miramar. Subito ci rendiamo conto che le intense piogge della notte hanno profondamente segnato il cammino, riducendolo ad un’insidiosa striscia di fango. Condividiamo un buon tratto di strada con un uomo dell’ejido ed i suoi due figli, scambiando qualche impressione, ma soprattutto ascoltando affascinati la loro lingua, il tzotzil (assieme al tzeltal, la principale delle lingue di origine Maya tuttora parlate in Chiapas). Ne risulta un’impresa quasi epica, fra milpas (campi di mais), cavalli scheletrici e giungla, ma alla fine le fatiche sono ripagate: la laguna e’ uno specchio d’acqua cristallino, circondato da una rigogliosa vegetazione e privo di tracce umane. Per qualche ora ci dimentichiamo di tutto, ma la necessità di tornare all’ejido lungo lo stesso sentiero, ci riporta alla realtà.

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Verso la Selva Lacandona

Seconda parte. E’ mattina presto, ma l’emozione ci tiene svegli: carichiamo sulla camioneta che ci porterà a San Quintin i nostri sogni, pronti a condividerli con le altre persone che intraprendono con noi il viaggio verso la Selva Lacandona. Lasciata Ocosingo, il cammino segue dolcemente le vallate ricoperte da pini e campi di mais… scendiamo lentamente, l’aria si appesantisce e la foresta diventa sempre più verde. La strada sterrata e fangosa ci spinge attraverso minuscoli villaggi, dalle capanne in legno spuntano gli sguardi stupiti e curiosi dei bambini. Superato il caracol zapatista di Francisco Gomez, le pinete lasciano spazio alla giungla e comincia a diluviare. A tarda sera giungiamo finalmente a San Quintin, dove la strada termina: la sensazione e’ di trovare una comunità abbastanza confusa e disordinata. Decidiamo quindi di camminare fino all’ejido Emiliano Zapata, dove ci accoglie il “Secretario de turismo”, Adolfo. Ci alloggia in una splendida cabaña vicino al fiume, circondata dalla giungla e dall’ansimare dei suoi animali. La sera ceniamo con altri tre ragazzi nella casa del señor Manuèl, sua moglie ci prepara uno squisito pollo “en mole”, cotto a legna. Siamo stanchissimi e nel buio della giungla crolliamo senza offrire resistenza.

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Comunita’ indigene del Chiapas

Prima parte. Durante il periodo speso ad Ocosingo siamo stati attenti osservatori di una vita dura ma intensa. Col passare dei giorni l’atteggiamento nei nostri confronti e’ diventato sempre più amichevole e l’ultima sera abbiamo conosciuto una famiglia proveniente da un pueblo sulla strada per San Cristobal, tutti al seguito del padre che vendeva dolci in piazza. La mamma, una ragazza giovanissima, era molto orgogliosa dei suoi cinque figli e ne aveva tutte le ragioni visto che erano bellissimi, curiosi e simpatici. Abbiamo passato tutta la serata giocando con loro… pensiamo che non si possa definire il concetto di povertà in termini assoluti: ricchezza e’ stupirsi e sorridere per le cose più semplici, per le piccole scoperte e nessuno meglio di tre bambini senza vizi ci trasmette questa sensazione. Ogni comunità, ogni popolo merita di poter soddisfare le sue necessità elementari (cibo, acqua, salute e pace) seguendo la strada tracciata dalla propria storia e cultura. La libertà e’ una fortuna riservata a poche persone!

Il racconto che segue e’ frutto della nostra esperienza nella Selva Lacandona, a stretto contatto con alcune comunità indigene del Chiapas: pochi giorni che ci hanno comunque permesso di sfiorare una realtà autentica, indimenticabile e, a volte, estremamente contraddittoria.

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Ocosingo, Chiapas

Il Chiapas, lo stato messicano dove è più evidente l’eredità lasciata dal passato e più numerosa la presenza della popolazione indigena. Ne abbiamo la definitiva conferma presso la cittadina di Ocosingo: un tranquillo ma indaffarato mercato dove si recano moltissime persone dai villaggi e dalle comunità limitrofe per vendere prodotti della terra ed artigianato. Sappiamo perfettamente che nelle vallate che ci circondano il mondo si divide in due parti, ma volutamente stiamo conoscendo questi luoghi senza preconcetti. D’altra parte certi argomenti sembrano essere tabù ed il muro di silenzio che percepiamo non ci aiuta a capire cosa la gente pensi al riguardo… nel mercato “Tianguis campesino”, le donne che vendono la loro mercanzia, immancabilmente circondate dai numerosi figli, ci regalano dei sorrisi a cui non eravamo più abituati, addirittura materni e rassicuranti. Siamo in un mondo nuovo, che ci emoziona profondamente.

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Sito archeologico di Palenque

La zona archeologica di Palenque lascia letteralmente senza fiato: l’incredibile bellezza e magnificenza dei templi rivelano la storia di un regno maya assai florido e di figure leggendarie (su tutte quella di Pakal), pur mantenendola avvolta in un affascinante alone di mistero. La fitta giungla abbraccia le rovine creando una cornice a dir poco fiabesca, la nebbia mattutina ci avvolge in un’atmosfera ovattata. Inevitabilmente e’ proprio la foresta a diventare protagonista con i suoi colori, odori e suoni… gli innumerevoli insetti ed uccelli, i tucani e le scimmie urlatrici iniziano il loro concerto di richiami, il palazzo “De Las Inscripciones” recupera le forme di un tempo, narrando di una città ricca ed affollata, l’immaginazione vola fra giungla e rovine: e’ impossibile non rimanere affascinati.

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