Arequipa, un gioiello incastonato nelle ampie vallate dell’altipiano andino del Perù meridionale, è soprannominata dai peruviani la città bianca. Una città tranquilla ed ospitale, dove acclimatarsi prima dell’ascesa nelle parti più remote delle ande. A sovrastare la città le cime pennellate di tre vulcani: il misti (gentiluomo, con la sua forma perfettamente conica), il chachani (amato) ed il picchu picchu (alto alto) in idioma quechua. Nei seminterrati presso il convento di Santa Catalina riposa in un abbraccio eterno la mummia di una ragazza (soprannominata Juanita, la signora delle nevi) sacrificata in un rituale inca presso il monte Ampato 500 anni fa. L’incontro con un “viejo loco”, come lui stesso si è presentato, ci apre un mondo su questo scorcio di america latina, seduti in una minuscola piazzetta di Arequipa, all’ombra di alcuni aranci in fiore, iniziamo una lunga conversazione sulla vita, sulle ande e le tradizioni di Arequipa. Lui viaggiò molto da giovane, essendo un artista di strada, ed i suoi ricordi sono ancora lucidi. Abbiamo discusso della magica combinazione di atmosfere, colori, sapori, musica ed esperienze che porta con sé il viaggiatore nei suoi pellegrinaggi. Ad Arequipa è facile conoscere molta gente, anche perché il clima è davvero ospitale. Riceviamo un invito a casa di un ragazzo, fuori città. Ci porta a conoscere i nonni, che si occupano dei campi di granoturco e alfalfa e ci preparano un pranzo ricco e squisito accompagnato da abbondante chicha tradizionale, una bevanda leggermente alcolica ricavata dalla fermentazione del mais. Seduti intorno al focolare mangiamo ed ascoltiamo con interesse la storia della loro vita, tra gioie e sacrifici. Al termine del pranzo, impariamo i primi rudimenti necessari per suonare la quena, il tipico flauto utilizzato nella musica andina.
Altopiano andino, deserto e telescopi
Oltre la valle di Azapa si estende sterminato l’altopiano andino, dove il deserto assume una spettacolare livrea rossa. Sembra di atterrare su marte. A bordo di una chevrolet anni cinquanta, seguiamo una tenue traccia in questa terra poco ospitale in direzione di Putre, la cittadina che fa da punto di partenza per le visite al parco nazionale di Lauca e per le ascese al vulcano Taapaca. In questa porzione di altopiano, la natura si mostra in tutta la sua magnificenza e durezza. Sparuti gruppi di vigogne scappano saltellando non appena sentono il rumore dell’auto avvicinarsi. Il vento sferza i visi degli indigeni che, consumati dal sole e dall’altitudine, si coprono in un estremo tentativo di difesa. Il legame fra terra e cielo è da sempre parte della cosmogonia dei popoli andini, inevitabile l’attrazione che l’altitudine di queste montagne e dell’altopiano ha generato nelle civiltà che hanno vissuto questi luoghi. Tuttora questo anelito verso l’infinito è ben rappresentato dalla presenza sull’altopiano andino di svariati centri di ricerca che utilizzano grandi telescopi per l’osservazione dello spazio e dei corpi celesti. Esempi sono l’osservatorio del Panaral, Cerro Pachon e l’osservatorio di Las Campanans. In anni eccezionali, le rare piogge tornano a bagnare le aride lande del deserto di Atacama, causando un’esplosione della natura: dal nulla del deserto compaiono in poche ore sterminate distese di prati verdi e di fiori sgargianti, dei quali numerosi insetti banchettano insaziabili. Essi sanno perfettamente che il deserto lascia poco tempo all’abbondanza.
Arica e valle di Azapa
Arica è il porto più a nord del Cile, a pochi chilometri dal confine col Perù. Come tutti i luoghi di confine, l’intera città è un enorme mercato dove si scambiano merci e dove le persone discutono animatamente sui prezzi dei prodotti agricoli e dei tessuti, immersi dal piacevole odore del cibo andino: empanadas, rocotos rellenos e chicharrones. Una moltitudine colorata e gentile che accompagna la vita di questa indaffarata comunità. A pochi chilometri da Arica, verso l’interno ed il deserto di Atacama, si estende un gioiello verde, un’oasi di palme, ulivi e frutteti che in modo inaspettato si sviluppa ai lati di un piccolo fiume stagionale, il San José. Il particolare clima di questa valle, chiamata Valle di Azapa, consente la coltivazione di svariati tipi di frutta, verdure e palme e delle famose olive di Azapa, una varietà di oliva dal colore viola, con le quali si produce un olio speciale. Grazie a queste particolari e favorevoli condizioni climatiche, la valle di Azapa è stata abitata dagli uomini fin da tempi antichi. Il museo archeologico di San Miguel Azapa racconta gli ultimi 10000 anni di questa terra attraverso gli splendidi abiti Tiwanaku ritrovati nelle numerose necropoli della zona e le mummie Chinchorro, raggomitolate in un’ultima infinita riflessione. L’intera valle è circondata da colline che furono sfruttate dalle civiltà andine come libri aperti per raccontare la loro storia attraverso rappresentazioni di arte rupestre (petroglifi) di straordinaria complessità e grandezza. La Valle di Azapa rappresenta un’incredibile testimonianza della ricchezza e della raffinatezza che contraddistinguono, tuttora come fu nel passato, la cultura e la conoscenza religiosa e scientifica dei popoli andini.
San Lorenzo, protettore dei minatori
Da Antofagasta tutte le strade portano fino nel cuore del deserto di Atacama, un salto in un abisso misterioso. Attraversando il deserto in autobus, a piedi ed in parte in bicicletta, si entra in contatto con una terra incredibilmente arida, un paesaggio lunare battuto da un sole tropicale ed asfissiante. Eppure anche qui pochi uomini coraggiosi sono rimasti a vivere, soprattutto perché lo spoglio terreno nasconde una incredibile ricchezza del sottosuolo. Lungo il percorso si incontrano oasi di polvere e macchine anni 50, sono cittadine di minatori abbandonate al loro destino infame, inghiottite dalla sabbia e dallo scorrere del tempo. Pedro de Valdivia, Maria Elena e poi Quillagua.
Il rosso della terra nasconde, oltre ai minerali, anche gli innumerevoli corpi di coloro che qui sono venuti a morire: pochi per scelta (la miniera di rame a cielo aperto di Chuquicamata è la più grande al mondo), molti per costrizione (il regime di Pinochet mandava in queste lande desolate i dissidenti ai lavori forzati). A indelebile ricordo di queste tragedie vi sono le fosse comuni di Pisagua. La memoria di questi soprusi ha diffuso la venerazione per San Lorenzo, considerato dai cileni come il patrono dei minatori e celebrato il 12 di agosto di ogni anno. Egli nascose i beni materiali della chiesa sotto terra per proteggerli dalla voracità dell’imperatore Valeriano. Allo stesso modo i cileni lottano per mantenere il controllo sulle loro risorse naturali (oro, argento, nichel, molibdeno, zolfo, ecc.).
Maria Elena è un paese appeso al vento, la presenza di spettri informi riempie il vuoto di una comunità nascosta, sotterranea. Tutto scompare nella calura del meriggio, ma neanche la sera, quando la morsa del caldo si allenta, la comunità si anima. La rassegnazione di una vita di stenti ricopre di sterpaglie polverose ogni casa, ogni oggetto. Ci fermiamo in un parco giochi, dove le altalene sono morte di ruggine ed abbandono, ogni meccanismo cigola, i bambini hanno lasciato questi divertimenti ancora prima di nascere.
Dove inizia il deserto di atacama
Il paesaggio, qualche ora a nord di Santiago, inizia lentamente ad inaridirsi. Sono le prime avvisaglie del deserto di Atacama, che incombe sul nord del Cile. Chañaral è una cittadina della costa pacifica dove questa frontiera tra il mare ed il deserto comincia ad essere prorompente. Don Ugo è un infaticabile uomo del mare, che nella maturità si è inventato un modo innovativo di sopravvivere e nello stesso tempo dare lavoro a molti suoi concittadini, proprio sfruttando le particolari condizioni climatiche della costa cilena. A Chañaral infatti la siccità comincia ad essere un problema, ma la elevata escursione termica tra il giorno e la notte, la vicinanza con l’oceano e la conformazione collinare del territorio, fanno in modo che ogni mattina sopra la città passi una densa coltre di umida nebbia. Don Ugo ha inventato un sistema di teli che imprigionano l’umidità e la fanno condensare in acqua. Un ingegnoso sistema di raccolta, incanalamento e depressurizzazione del liquido ne consentono il trasporto 800 metri più in basso dove si trovano alcune case e piantagioni. Ogni giorno il sistema è in grado di generare circa 5000 litri di acqua potabile. Nella notte ci dirigiamo ad Antofagasta, ultima grande città prima di entrare infine nel pieno deserto e nella regione delle miniere cilene. Padre Hurtado, noto santo gesuita, uomo pratico e vicino a lavoratori della terra e ai minatori cileni, vigila su questo mondo sommerso.
Santiago del Cile: poesia, riciclaggio, arte
Santiago del Chile, un piccolo albergo per viaggiatori gestito da un indigeno di origine Mapuche, grattacieli e case pericolanti. Dalla collina che sovrasta la città, come una specie di calvario, si gode di un panorama a 360 gradi sulla capitale, metropoli lunga e sterminata. A tratti nascoste dietro le nuvole, le Ande sono maestose ed innevate, sullo sfondo si intravede il paradiso bianco di Tres Valles e Valle Nevado, stazioni sciistiche che si trovano a soli 50 chilometri da Santiago del Chile. La frenetica vita del centro distoglie l’attenzione dai fenomeni di vita fantasiosa ed emarginata della grande maggioranza della popolazione. A nord di Santiago si trova un’immensa discarica dove confluiscono buona parte dei rifiuti della città. Le persone che vi vivono per la loro attività si sono meritate il soprannome di moscas, nell’evocativo dialetto cileno. Sfidando quotidianamente la fortuna, salgono con estrema agilità su ogni camion dei rifiuti che si presenta all’ingresso della discarica e recuperano pezzi pregiati quali ferro, rame, alluminio, biciclette ed ogni materiale che possono poi riciclare o rivendere al mercato nero. Un altro esempio di adattamento creativo è qui rappresentato da Don Ignacio, un intelligente uomo di circa cinquanta anni, che nell’arco degli ultimi venti si è completamente dedicato a recuperare pezzi di legno, vetro e metallo nella discarica. Unico suo obiettivo, brillantemente riuscito, è stato quello di costruire con gli scarti una casa abusiva dotata di ogni confort e dal forte e personale senso estetico. La città vive di arte e poesia, la nascita del muralismo in Cile come fenomeno di massa, risale alla marcia del 1969 contro la guerra del Vietnam, dal porto di Valparaíso a Santiago del Cile. Con una vecchia Jeep, pochi ragazzi rifecero l’intero percorso della marcia dipingendo i massi ai bordi delle strade nelle città in cui si fermavano i cortei di manifestanti. I gruppi di pittura murale cileni, le brigadas Ramona Parra, nacquero con la finalità di realizzare propaganda alla candidatura di Salvador Allende nel 1970. I murales urbani sono fatti di simboli e di lettere. La colomba, le mani, la spiga, le stelle, sono stati un nuovo linguaggio che per molto tempo si è diffuso nella clandestinità della notte.
Dal finestrino Brasile, Argentina, Cile
Dal finestrino dell’aereo, un lungo preludio ha inizio quando ad interrompere la monotona linea blu dell’oceano emerge la sensuale sagoma verde-oro del Brasile, avamposto del continente sudamericano. Sarà come riavvolgere velocemente un nastro che vivremo nel futuro, immersi nel viaggio. Gli occhi si abbagliano nell’osservare tali sterminate terre. L’aereo punta veloce verso sud, compaiono i colori della primavera australe; lì dove il Rio de la Plata, nel dividere il piccolo Uruguay dalla sorella maggiore Argentina, si tuffa immenso nell’oceano Atlantico. Compare Buenos Aires, sconfinata. Sotto i piedi la terra si fa arida e disconnessa, salendo di quota preannuncia lo spettacolo delle Ande, l’incredibile cordigliera che divide Argentina e Cile. La sagoma dell’Aconcagua, la vetta più alta dell’America con i suoi 6962 metri (22841 piedi) di altitudine, nasconde il tramonto, ma non i primi scorci sulle bucoliche vallate del Cile centrale, avvolto dalle prime fioriture primaverili. Più in là, l’oceano Pacifico riposa agitato da onde potenti come montagne.
Santiago del Cile si presenta come una lunga striscia che si sviluppa da nord a sud, a tratti informe, copia in piccolo del Cile intero con la sua caratteristica sagoma filiforme. Così profondamente vario e contradditorio. Santiago è viva e pulsa.