Nella terra degli Incas, Cusco e Pisac

Giungere a Cusco quando gli ultimi raggi di sole lambiscono gli stanchi declivi della valle degli Incas è uno dei sogni di ogni viaggiatore. Cusco è una testimonianza vivente di quanto innumerevoli storie di gloria e disfatta si siano intrecciate nella lunga notte dei cinquecento anni. Bella da togliere il fiato, orgogliosa come la sua popolazione indigena, ma poi sconfitta e deturpata per castigo. Ora di nuovo un crocevia per pellegrini che da tutto il mondo vengono ad ammirare il passato.

La luce del sole scandisce lunghe giornate avventurose, spostandosi lungo la terra degli Incas, da Cusco ad Abancay, passando per le spettacolari rovine di Pisac, meno frequentate ma non per questo meno spettacolari della vicina e misteriosa Machu Picchu. La valle sacra degli Incas è la valle del fiume Urubamba nelle Ande peruviane e fu il cuore della civiltà Inca. La valle era apprezzata per le sue particolari qualità geografiche e climatiche, per le sue ricchezze naturali e per la produzione di mais. Le rovine di Pisac donano una sensazione di possesso della montagna, di brivido per le pendenze estreme, di vertigine; questi sassi respirano di una storia quasi millenaria, ineguagliabile perfezione, unica armonia.

Sito archeologico Incas di Pisac

Da Arequipa al Lago Titicaca

Ad Arequipa per incontrare alcuni amici che lasciano la città bianca. Yanahuara è una cittadina vicina ad Arequipa e siamo invitati lì per partecipare a una festa di tradizioni arequipene: la musica creola, chicha (tradizionale birra andina a base di mais) e la deliziosa cucina peruviana (rocoto relleno, pastel de papa, chicharron e cuy). Arequipa è una bella scoperta: la città è bella con i suoi edifici storici (cattedrale, convento, Juanita), paesaggi mozzafiato, gente simpatica.

Il giorno seguente, dopo aver salutato tutti gli amici che si trovano in Arequipa, viaggiamo verso il bellissimo Lago Titicaca, al fine di aderire al festival chiamato Semana de Puno.

Lago Titicaca alba Perú

Condor e Valle del Colca

Alla stazione di Arequipa, pochi viaggiatori si mescolano alla moltitudine di persone che tornano ai loro villaggi di appartenenza, dopo una visita ai parenti in città o dopo una giornata di lavoro. Sono indigeni che si recano negli innumerevoli piccoli pueblos che costellano le valli andine. Seguiamo un itinerario simile per recarci nella Valle del Colca, attraversiamo lande sferzate da un vento freddo, il paramo e passi andini che sfiorano i 5000 metri. Siamo attorniati da pascoli, greggi di alpaca e lama e sparute capanne di allevatori Aymara che vivono inseguendo gli animali nei loro perenni spostamenti alla ricerca di foraggio. La vita nomade. Giungiamo a Chivay, un villaggio all’imbocco della Valle del Colca, nel quale si respira un’atmosfera di estrema tranquillità e dove appaiono ancora forti i legami con stili di vita dalle origini millenarie. A dimostrarlo, una sottile diffidenza che le persone del posto mostrano nei nostri confronti. Il tempo sembra essere sospeso in questa valle, la vita rincorre il ciclo del sole e la tecnologia non ha ancora turbato questo delicato equilibrio con l’elettricità. Chivay si trova a circa 3800 metri di altitudine e già questo basterebbe a rendere l’esistenza impegnativa: il soroche, così si definisce in lingua locale il mal di montagna, colpisce inesorabile coloro che non sono nati per una vita tanto estrema. I bambini corrono curiosi lungo le strade che guidano alle loro capanne fuori dal villaggio, portano con sé alcuni animali, spesso alpaca o pecore. Questa è la loro incombenza quotidiana, in sostituzione della scuola. Sorridono. Sulle pendici delle vette che cingono la valle, scrutando con attenzione, si scorgono sparuti gruppi di vigogne, l’unica specie di camelide andino che non ha acconsentito a farsi addomesticare e continua la sua esistenza solitaria nei luoghi più inaccessibili della cordigliera andina. Ancora più in alto, nel cielo terso del mattino, veleggiano imperturbabili alcuni rari condor delle ande, i veri e maestosi dominatori di questo paradiso. A pinchollo, le immagini sbiadite di un lontano passato riaffiorano nei timidi sguardi delle persone, e ci raccontano…

Masticavo coca a quattro anni
gli alpaca erano più veloci di me
Masticavo coca a dieci anni
la terra era più dura di me
Masticavo coca a venti anni
i figli piangevano più forte di me
Ora di anni ne ho quasi trenta
e la coca continuo a masticarla
perchè i miei figli sono partiti
ma ero troppo triste perchè
la morte prendesse anche me
e di tempo per piangere
qui sull'altopiano, non ce n'è

Valle del Colca

Arequipa e Juanita, signora delle nevi

Arequipa, un gioiello incastonato nelle ampie vallate dell’altipiano andino del Perù meridionale, è soprannominata dai peruviani la città bianca.  Una città tranquilla ed ospitale, dove acclimatarsi prima dell’ascesa nelle parti più remote delle ande. A sovrastare la città le cime pennellate di tre vulcani: il misti (gentiluomo, con la sua forma perfettamente conica), il chachani (amato) ed il picchu picchu (alto alto) in idioma quechua. Nei seminterrati presso il convento di Santa Catalina riposa in un abbraccio eterno la mummia di una ragazza (soprannominata Juanita, la signora delle nevi) sacrificata in un rituale inca presso il monte Ampato 500 anni fa. L’incontro con un “viejo loco”, come lui stesso si è presentato, ci apre un mondo su questo scorcio di america latina, seduti in una minuscola piazzetta di Arequipa, all’ombra di alcuni aranci in fiore, iniziamo una lunga conversazione sulla vita, sulle ande e le tradizioni di Arequipa. Lui viaggiò molto da giovane, essendo un artista di strada, ed i suoi ricordi sono ancora lucidi. Abbiamo discusso della magica combinazione di atmosfere, colori, sapori, musica ed esperienze che porta con sé il viaggiatore nei suoi pellegrinaggi. Ad Arequipa è facile conoscere molta gente, anche perché  il clima è davvero ospitale. Riceviamo un invito a casa di un ragazzo, fuori città. Ci porta a conoscere i nonni, che si occupano dei campi di granoturco e alfalfa e ci preparano un pranzo ricco e squisito accompagnato da abbondante chicha tradizionale, una bevanda leggermente alcolica ricavata dalla fermentazione del mais. Seduti intorno al focolare mangiamo ed ascoltiamo con interesse la storia della loro vita, tra gioie e sacrifici. Al termine del pranzo, impariamo i primi rudimenti necessari per suonare la quena, il tipico flauto utilizzato nella musica andina.

Arequipa el misti Juanita, signora delle nevi

Altopiano andino, deserto e telescopi

Oltre la valle di Azapa si estende sterminato l’altopiano andino, dove il deserto assume una spettacolare livrea rossa. Sembra di atterrare su marte. A bordo di una chevrolet anni cinquanta, seguiamo una tenue traccia in questa terra poco ospitale in direzione di Putre, la cittadina che fa da punto di partenza per le visite al parco nazionale di Lauca e per le ascese al vulcano Taapaca. In questa porzione di altopiano, la natura si mostra in tutta la sua magnificenza e durezza. Sparuti gruppi di vigogne scappano saltellando non appena sentono il rumore dell’auto avvicinarsi. Il vento sferza i visi degli indigeni che, consumati dal sole e dall’altitudine, si coprono in un estremo tentativo di difesa. Il legame fra terra e cielo è da sempre parte della cosmogonia dei popoli andini, inevitabile l’attrazione che l’altitudine di queste montagne e dell’altopiano ha generato nelle civiltà che hanno vissuto questi luoghi. Tuttora questo anelito verso l’infinito è ben rappresentato dalla presenza sull’altopiano andino di svariati centri di ricerca che utilizzano grandi telescopi per l’osservazione dello spazio e dei corpi celesti. Esempi sono l’osservatorio del Panaral, Cerro Pachon e l’osservatorio di Las Campanans. In anni eccezionali, le rare piogge tornano a bagnare le aride lande del deserto di Atacama, causando un’esplosione della natura: dal nulla del deserto compaiono in poche ore sterminate distese di prati verdi e di fiori sgargianti, dei quali numerosi insetti banchettano insaziabili. Essi sanno perfettamente che il deserto lascia poco tempo all’abbondanza.

Deserto Atacama Cile

Arica e valle di Azapa

Arica è il porto più a nord del Cile, a pochi chilometri dal confine col Perù. Come tutti i luoghi di confine, l’intera città è un enorme mercato dove si scambiano merci e dove le persone discutono animatamente sui prezzi dei prodotti agricoli e dei tessuti, immersi dal piacevole odore del cibo andino: empanadas, rocotos rellenos e chicharrones. Una moltitudine colorata e gentile che accompagna la vita di questa indaffarata comunità. A pochi chilometri da Arica, verso l’interno ed il deserto di Atacama, si estende un gioiello verde, un’oasi di palme, ulivi e frutteti che in modo inaspettato si sviluppa ai lati di un piccolo fiume stagionale, il San José. Il particolare clima di questa valle, chiamata Valle di Azapa, consente la coltivazione di svariati tipi di frutta, verdure e palme e delle famose olive di Azapa, una varietà di oliva dal colore viola, con le quali si produce un olio speciale. Grazie a queste particolari e favorevoli condizioni climatiche, la valle di Azapa è stata abitata dagli uomini fin da tempi antichi. Il museo archeologico di San Miguel Azapa racconta gli ultimi 10000 anni di questa terra attraverso gli splendidi abiti Tiwanaku ritrovati nelle numerose necropoli della zona e le mummie Chinchorro, raggomitolate in un’ultima infinita riflessione. L’intera valle è circondata da colline che furono sfruttate dalle civiltà andine come libri aperti per raccontare la loro storia attraverso rappresentazioni di arte rupestre (petroglifi) di straordinaria complessità e grandezza. La Valle di Azapa rappresenta un’incredibile testimonianza della ricchezza e della raffinatezza che contraddistinguono, tuttora come fu nel passato, la cultura e la conoscenza religiosa e scientifica dei popoli andini.

Arica e valle di Azapa

San Lorenzo, protettore dei minatori

Da Antofagasta tutte le strade portano fino nel cuore del deserto di Atacama, un salto in un abisso misterioso. Attraversando il deserto in autobus, a piedi ed in parte in bicicletta, si entra in contatto con una terra incredibilmente arida, un paesaggio lunare battuto da un sole tropicale ed asfissiante. Eppure anche qui pochi uomini coraggiosi sono rimasti a vivere, soprattutto perché lo spoglio terreno nasconde una incredibile ricchezza del sottosuolo. Lungo il percorso si incontrano oasi di polvere e macchine anni 50, sono cittadine di minatori abbandonate al loro destino infame, inghiottite dalla sabbia e dallo scorrere del tempo. Pedro de Valdivia, Maria Elena e poi Quillagua.
Il rosso della terra nasconde, oltre ai minerali, anche gli innumerevoli corpi di coloro che qui sono venuti a morire: pochi per scelta (la miniera di rame a cielo aperto di Chuquicamata è la più grande al mondo), molti per costrizione (il regime di Pinochet mandava in queste lande desolate i dissidenti ai lavori forzati). A indelebile ricordo di queste tragedie vi sono le fosse comuni di Pisagua. La memoria di questi soprusi ha diffuso la venerazione per San Lorenzo, considerato dai cileni come il patrono dei minatori e celebrato il 12 di agosto di ogni anno. Egli nascose i beni materiali della chiesa sotto terra per proteggerli dalla voracità dell’imperatore Valeriano. Allo stesso modo i cileni lottano per mantenere il controllo sulle loro risorse naturali (oro, argento, nichel, molibdeno, zolfo, ecc.).
Maria Elena è un paese appeso al vento, la presenza di spettri informi riempie il vuoto di una comunità nascosta, sotterranea. Tutto scompare nella calura del meriggio, ma neanche la sera, quando la morsa del caldo si allenta, la comunità si anima. La rassegnazione di una vita di stenti ricopre di sterpaglie polverose ogni casa, ogni oggetto. Ci fermiamo in un parco giochi, dove le altalene sono morte di ruggine ed abbandono, ogni meccanismo cigola, i bambini hanno lasciato questi divertimenti ancora prima di nascere.

Maria elena cile minatori san lorenzo

Dove inizia il deserto di atacama

Il paesaggio, qualche ora a nord di Santiago, inizia lentamente ad inaridirsi. Sono le prime avvisaglie del deserto di Atacama, che incombe sul nord del Cile. Chañaral è una cittadina della costa pacifica dove questa frontiera tra il mare ed il deserto comincia ad essere prorompente. Don Ugo è un infaticabile uomo del mare, che nella maturità si è inventato un modo innovativo di sopravvivere e nello stesso tempo dare lavoro a molti suoi concittadini, proprio sfruttando le particolari condizioni climatiche della costa cilena. A Chañaral infatti la siccità comincia ad essere un problema, ma la elevata escursione termica tra il giorno e la notte, la vicinanza con l’oceano e la conformazione collinare del territorio, fanno in modo che ogni mattina sopra la città passi una densa coltre di umida nebbia. Don Ugo ha inventato un sistema di teli che imprigionano l’umidità e la fanno condensare in acqua. Un ingegnoso sistema di raccolta, incanalamento e depressurizzazione del liquido ne consentono il trasporto 800 metri più in basso dove si trovano alcune case e piantagioni. Ogni giorno il sistema è in grado di generare circa 5000 litri di acqua potabile. Nella notte ci dirigiamo ad Antofagasta, ultima grande città prima di entrare infine nel pieno deserto e nella regione delle miniere cilene. Padre Hurtado, noto santo gesuita, uomo pratico e vicino a lavoratori della terra e ai minatori cileni, vigila su questo mondo sommerso.

Chanaral Antofagasta cile

Cile sulla strada

La stazione dei bus di Santiago del Cile è uno di quei luoghi dove il tempo è sospeso tra la calura ed il refrigerio della notte. Quando dai bus scende una faccia nuova, si genera immediatamente un’improvvisa concitazione, tipica di coloro che vivono dei piccoli espedienti quotidiani. La stazione dei bus è sempre un bivio, tra infinite scelte nel viaggio. Dopo una breve consultazione per decidere se continuare il percorso verso il sud verde e svizzero, verso Concepción e la mitica università del Bio Bio, verso Puerto Montt ed il suo progetto di città sostenibile (teleriscaldamento, pompe di calore specialmente della tecnologia Baumann ed un’innovativo sistema di compostaggio dei rifiuti organici mediante l’opera dei lombrichi), decidiamo di volgere il nostro sguardo verso il nord, verso il deserto di Atacama. Lasciamo Santiago lentamente, frenati da un coloratissimo corteo di malabaristas, artisti di strada che protestano contro il divieto di poter esercitare la loro arte per le vie del centro di Santiago. Ci si ritrova a fare festa e discutere in una delle tipiche Peñas, locali dove si possono ascoltare e ballare le cuecas di Violeta Parra e le ballate di Victor Jara, magari accompagnate da deliziose empanadas, pastel de choclo con humitas e vino cileno. Il ritrovo è per il giorno successivo davanti a la Moneda, la storica sede governativa dove risiede il presidente cileno. Luogo dove si concentrano tutte le proteste del paese, luogo simbolo del golpe militare che nel 1973 destituì Allende e portò alla lunga dittatura di Pinochet.

Da Valparaiso la strada panamericana corre veloce a fianco dell’oceano pacifico, la costa è interrotta da poco frequenti paesi di pescatori, la costa è piegata dalla forza maestosa dell’oceano. Lontanissima per poter essere vista, l’isola di Pasqua riposa in balia delle correnti. Nell’autobus viaggiamo con una giovane famiglia cilena, una giovane donna con tre piccoli figli, tutti bellissimi. Discutiamo e pensiamo alle reciproche differenze, un abisso ci sembra dividere, ma poi facciamo una pausa per il pranzo sulla strada e loro ordinano un grande piatto di patatine fritte, che chiamano chorillana, con un immenso bicchiere di coca cola. Il mondo ormai è liquido, forse anche più di quanto profetizzato da Bauman agli albori dell’era digitale.

Pacifico sulla strada cile

Banca del tempo a Santiago del Cile

A Santiago del Cile opera una banca del tempo. A differenza di una banca tradizionale, qui il denaro non vale e ciò che i clienti hanno nei loro conti sono favori e servizi. Impianti idraulici, elettrici, moda, trucco, cibo, lezioni di chitarra, animazione o infermieristica sono alcuni dei servizi che si scambiano i residenti dei quartieri in cui opera la banca. Secondo i sostenitori di questa iniziativa l’obiettivo è quello di promuovere la solidarietà e la partecipazione dei cittadini. Sei volte al mese Flora taglia i capelli ad alcuni dei suoi vicini. Facendo così accumula del tempo che le viene reso con altri favori da parte dei suoi vicini, esperti in altre attività. Le persone vengono pagate con un assegno della Banca del Tempo non appena eseguono un favore. La Banca del Tempo opera all’interno delle dinamiche del quartiere ei vicini sono coloro che la amministrano. La comunità partecipa perchè capisce che la Banca del Tempo è uno strumento efficace per migliorare la qualità della vita della comunità nella quale la banca si sviluppa. Nella Banca del Tempo si applica il principio di uguaglianza e tutti i lavori eseguiti dai residenti del quartiere sono uguali.
La Banca del tempo cerca di sostituire all’individualismo uno spazio di cooperazione in cui ciò che conta è la capacità delle persone, non il tempo o il denaro.

Santiago prende il nome da San Giacomo apostolo, patrono della città. Nato a Betsaida, era fratello di Giovanni Evangelista e figlio di Zebedeo e di Salome. Fu con Gesù nell’orto degli Ulivi, e si distinse, insieme con Giovanni, per la sua animosità.

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